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Storytelling, limiti e creatività
21 Giugno 2016

Io che non so fermare il tempo

Fotocamera Kodak Disk

Macchina fotografica Kodak disk, la prima con cui ho iniziato a raccontare con le immagini

Quando è iniziato il mio amore per le immagini, non lo so con precisione.

Mi feci regalare la mia prima macchina fotografica (Kodak Disk) alla comunionee troppo presto ereditai anche la reflex di mio papà, ovviamente in pellicola perché erano gli anni Ottanta. Alle feste di famiglia e nelle gite scolastiche immortalavo persone e momenti. Documentavo quello che potevo nell’era in cui, per rivedere le tue immagini, dovevi portare il  rullino da 24 da un fotografo e pagare ogni singola stampa. Assemblavo, ritagliavo e incollavo foto in enormi raccoglitori; quelle bruttine, ma significative, le appiccicavo sulla mia la Smemo con cimeli e pasticci. Mi ha fatto sorridere scoprire che oltreoceano hanno nobilitato quest’arte con un nome: scrapbook. Ho sempre avuto l’ansia di conservare qualcosa del tempo che passa.

Negli anni dell’Università sono entrate nella mia vita, prestate da parenti e amici, le prime videocamere amatoriali: le Hi8 e VHSC. Nell’anno Erasmus a Madrid sono rimasta esterrefatta dall’attrezzatura che l’Università permetteva agli studenti di usare: ho montato in spalla una di quelle enormi videocamere che qualche cameraman televisivo ancora usa, le intramontabili Sony BetaCam. La vera folgorazione è stata il montaggio video: mettere insieme le immagini girate per dare loro un senso.

Quell’anno, ho maneggiato macchine grandi come una stanza: dall’ormai desueta A-B roll per il montaggio televisivo lineare, alla batteria di computer che permettevano un montaggio digitale – le clip video potevano quindi essere rimescolate all’infinito prima di scegliere la sequenza definitiva. Prima di tutto questo, c’era la moviola, ma a quella non sono mai riuscita a metterci le mani sopra. La potenza di strumenti che un tempo stava in una stanza ora entra in tascabili archivi digitali.  Il video che mi è rimasto di quelle esperienze è un surreale servizio sulla mancanza di carta igienica nei bagni, in cui mi sono sperimentata come cronista.

Quando ho avuto una videocamera tutta mia eravamo già nell’era dei miniDV, quelle graziose cassettine in via di estinzione. Con i primi lavoretti mi sono permessa un PC degno di un programma di montaggio video. Sul web ancora non esisteva YouTube e impazzavano le animazioni in flash. Il mondo dei set e delle produzioni televisive mi intimoriva più che affascinare, forse perché si pretendeva la perfezione mentre io non mi sono mai presa troppo sul serio.

Sono diventata quindi media educator, con una buffa certificazione che non è molto trendy su LinkedIn. Mi sono inventata laboratori per insegnare a bambini e ragazzi a raccontarsi con le immagini. La predisposizione per l’insegnamento è probabilmente dovuta ad una mamma maestra che mi ha cresciuta a pane e didattica. Categorizzare, semplificare, esemplificare, sperimentare sono stati argomenti di pranzi e cene per tutta la mia infanzia e adolescenza. Quanti video abbia realizzato non lo so. Tanti. Ricordo però la soddisfazione provata nel dar forma a quelle giovani storie e ricordo gli sguardi stupiti nel vedere le storie immaginate prendere vita su uno schermo.

Adoro il perfezionismo di Stanley Kubrick ma sono più in sintonia con il re dei B-movie Roger Corman. La mia infinita ammirazione va però a quei documentaristi che riprendono quanto mai mostrato prima al mondo, sfruttando le innovazioni nel più creativo dei modi. Ho giocato quindi a fare la cronista con la volontà di raccontare di alberi che crescono. Ho collaborato con siti web irrimediabilmente votati alla sperimentazione e all’innovazione. E’ stato elettrizzante testare quanto la tecnologia allargasse continuamente le potenzialità nel raccontare storie e nel farlo in maniera immediata, multimediale e interattiva. 

Lavorare con le immagini è – anche – una questione di strumenti e limiti da superare, ma da soli non bastano. Occorrono passioni e immaginazione per affascinare e stupire. Ho uno smartphone sempre in tasca che mi dà l’illusione di poter fermare il tempo. L’iperconnessione a volte genera in me un senso di vertigine ma credo che apra immense opportunità di racconto, soprattutto per chi ha più idee che budget. 

Il mio business per il momento ancora non c’è. Ho 40 anni, un discreto bagaglio di esperienza e un’idea che continuo a limare. Le mie passioni hanno qualcosa a che vedere con tutto quello che sta sopra: raccontare con le immagini, conservare il tempo, sperimentare e insegnare. Tutto questo senza mai prendersi troppo sul serio e smettere di giocare con quegli strumenti – digitali o analogici – che ci permettono di vedere il mondo con occhi diversi.

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Silvia Bevilacqua

maestra di videoMAGIE

Creo video e insegno a farlo
a chi ha un'impresa STRAordinaria da raccontare

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